Pubblicato più di un anno fa

di Giorgia Fleischmann
„Her er jeg “. Io sono qui. Skien, pronunciato scheen e non skien come pensavo, nella contea di Telemark sulla costa sud della Norvegia, sarà la mia casa fino al prossimo giugno. Non è una grande città, ma lo è più di Treviglio (circa 64.000 abitanti). Abito in una villetta insieme ai miei genitori John e Kari, mia sorella Vilde, mio fratello Simen, che torna a casa dall’università solo nei weekend, e tre adorabili gatti (uno di loro pesa ben 7 chili, il mio preferito). La foto è stata scattata lungo la strada che faccio per andare a scuola. È un popolo di sportivi così mi sono adattata, a piccoli passi, e ho iniziato a prendere la bici per andare a scuola, che in foto è in cima alla collinetta sulla sinistra. Ovviamente preferisco il ritorno.
Oltre a essere un paese di sportivi è un paese costoso. La Norvegia infatti è il quarto paese più ricco al mondo; non c’è da meravigliarsi che una delle loro abitudini è di possedere o affittare una “hytte”, una seconda casa, per il weekend, che, contrariamente a quello italiano (che personalmente limiterei a chiamare “lasso di tempo che va dal sabato sera alla domenica dopo l’ora di pranzo”), rispecchia la realtà. L’orario scolastico di ogni studente va dal lunedì al venerdì e ogni negozio e supermercato la domenica chiude i battenti (persino a Oslo). E così il 3 settembre ho fatto i bagagli per Siktesøya, un’isoletta a un’oretta da qui. Il tempo è meraviglioso (mai darlo per scontato in Norvegia) così come lo è la casa a pochi passi dal mare del fiordo di Oslo.
Quasi tutte le case sono costruite in legno e ciò è dovuto al fatto che i boschi occupano circa il 17% della superficie. Il paesaggio che si può ammirare dalle finestre ne è la dimostrazione: solo verde fin dove lo sguardo può arrivare. Durante il giorno il fiordo è animato da ogni tipo di imbarcazione, le case infatti non vengono mai sole: tutte hanno un piccolo molo a cui è attraccata almeno (sottolineo, almeno) una barca.
Con la nostra, solo leggermente più piccola rispetto alle barche a vela in foto, abbiamo girato intorno alle tante piccole isolette del fiordo fino ad arrivare a Langesund, una città portuale il cui nome significa “lungo fiordo”. Qualche provvista per una serata sotto le stelle, davanti a un falò e si riparte. Il profumo che arriva dalla cucina, il sole che tramonta sul mare e qualche gabbiano che sorvola l’acqua, poche cose che bastano per farti chiudere gli occhi e assaporare fino in fondo tutta la felicità del momento.
Sono cambiate tante cose da quando sono arrivata. Ho iniziato a cenare alle cinque di pomeriggio, a mangiare il pesce e la verdura, perché l’unica persona a cui ho il coraggio di dire di no è mia mamma, ho iniziato a gestire i miei soldi, cosa che non è così divertente quanto sembra, sono tornata in prima superiore, dove non conosci nessuno e sorridi a tutti per non sembrare antipatica, ho conosciuto una famiglia che ha un cuore d’oro e (neanche a farlo apposta) è disordinata tanto quanto me (e mia mamma che continuava a dirmi: «vedrai quando arriverai in Norvegia come imparerai a sistemare…», magari un’altra volta) e persone che all’inizio possono sembrare fredde come lo è il tempo, diventano le più amabili della terra.
Mi sono fatta assorbire da questo nuovo mondo dal momento che sono scesa dall’aereo e ogni singolo giorno ne sono rimasta incantata.
Gli unici momenti difficili che ho vissuto finora sono stati quelli in cui dovevo scegliere quale foto pubblicare. Mamma, papà, dove vado l’anno prossimo?
(1 - continua)