30 marzo 2009 - 11:08

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Portland-Caravaggio e ritorno

Chiara Tadolti

Non sono molti gli studenti che decidono di trascorrere un anno scolastico all’estero; ancor meno i ragazzi americani che vengono studiare in Italia. Myriam Jane Edera, sedicenne di Portland, ospite per i prossimi quattro mesi della famiglia Albani di Caravaggio, ha scelto di fare questa esperienza al locale liceo linguistico “Galileo Galilei”.

Come sei venuta a sapere del progetto Intercultura?

Una mia amica ha provato questa esperienza, che dai suoi racconti sembrava molto interessante: si tratta di un progettodi stages per studenti, che vanno da cinque mesi ad un anno. Così mi sono iscritta, ho sostenuto numerosi test e ho dovuto inviare informazioni su di me, sulla mia famiglia e la mia scuola. Un mese prima della partenza ho ricevuto notizie sulla famiglia che mi avrebbe ospitato, mentre due settimane prima mi hanno dato informazioni sull’Italia.

Perché hai deciso di venire proprio in Italia?

La famiglia di mio padre è di origini italiane, di Torino: spesso li ho sentiti parlare in italiano, senza capire niente... così ho deciso che l’avrei studiato.

Trovi che imparare l’italiano sia difficile? Che cosa in particolare?

Sì, è molto complicato: soprattutto i molti verbi irregolari e il participio!

Quali sono le materie più difficili da imparare in italiano?

A parte quelle di studio, come storia e filosofia, penso che il vostro metodo di risolvere i problemi matematici sia completamente diverso dal nostro, anche quando gli argomenti sono gli stessi. E questo nonostante si possa pensare che i numeri siano un linguaggio universale.

Cosa pensi della scuola che stai frequentando qui, in Italia?

È difficilissima! Non so come riusciate voi, con tutte queste verifiche e interrogazioni orali... Negli Usa, invece, siamo abituati a scrivere molte tesine per ogni materia.

Che differenze ci sono fra la scuola americana e quella italiana?

In Usa ogni alunno decide quali materie studiare, si programma il proprio percorso. Inoltre gli orari sono molto diversi: abbiamo molti intervalli, pranziamo a scuola e facciamo anche alcune ore pomeridiane, ma non andiamo a scuola di sabato. Trovo anche che il rapporto fra professori e alunni sia più formale in Italia.

Cosa ti manca del tuo modo di vivere?

Lo sport, senza alcun dubbio. In Usa pratico corsa, nuoto, calcio, surf e sci, quasi tutti tramite la scuola. Ecco un’altra differenza fra Italia e America: negli Stati uniti le attività sportive, ricreative o di volontariato sono organizzate dall’istituzione scolastica stessa, mentre uno studente italiano deve rivolgersi all’esterno.

L’Italia è come te la immaginavi prima di partire?

Ho cercato di non avere pregiudizi prima del viaggio, ma ho notato che siete proprio amichevoli come venite descritti... e il cibo è veramente buono! In questi giorni sto mangiando soprattutto pasta e cioccolato!

Differenze fra italiani e americani?

Non molte, però forse in Italia si tende a vivere tutta la vita nello stesso luogo dove si è nati e si è più legati alla propria famiglia.

Difficoltà con la lingua nella vita quotidiana?

La famiglia che mi ospita sa parlare inglese e così i miei compagni di classe; anche se c’è molta miscommunication (difficoltà nella comunicazione, ndt), devo ammettere che lo trovo divertente. Fra i professori, purtroppo, pochissimi sanno l’inglese.

Quindi trovi che gli italiani siano carenti nelle lingue straniere?

Ma anche gli americani lo sono! Io, per esempio, so un po’ di francese e spagnolo, mentre voi studiate le lingue in modo più approfondito. In generale, gli europei sanno più lingue straniere degli americani.

Credi che questa esperienza ti cambierà?

Lo spero! Ho l’impressione che questo stage mi renderà molto più open minded, di mentalità aperta.

(articolo pubblicato su "Il Galileo" di marzo 2009 - "Popolo Cattolico" del 21 marzo 2009)